Un campo scuola per immergerci in una metafora

di Noemi Di Corato e Lucio Mattioli

14 maggio 2025

Dal 1984 a Cenci arrivano classi di ogni ordine e grado, che ospitiamo per due, tre, quattro o cinque giorni. Nonostante per noi sia una consuetudine organizzare le nostra proposta educativa, i campi scuola variano sempre perché ogni incontro è particolare e difficilmente ripetibile. Ci sono delle costanti, che costituiscono dei punti cardinali che ci orientano, ma la navigazione è sempre incerta e piena di sorprese, sia per noi educatori ed educatrici che per chi insegna e per i gruppi classe che arrivano nella casa-laboratorio. Così come il sole sorge sempre in direzioni diverse, a seconda dei mesi dell’anno, è come se le proposte dei campi scuola abbiano fissi il nord e il sud, mentre l’est e l’ovest siano variabili in base al gruppo e a chi lo accompagna. Noi educatrici ed educatori sperimentiamo una ricerca costante, a partire dalle giornate condivise con le classi che incontriamo e con cui facciamo ricerche e scoperte, frutto di diverse esperienze e passioni. Lo stupore e la meraviglia si rinnovano se il primo fuoco arde in chi le propone.
Alle e agli insegnanti che partecipano proponiamo di cambiare postura, abbandonando temporaneamente il loro ruolo di guide. Li informiamo riguardo alla direzione verso cui ci dirigiamo, a partire da una condivisione iniziale di ciò che abbiamo pensato per il campo, ma non conoscono con precisione i passaggi della programmazione, perché desideriamo proporre loro di mettersi in gioco per ri-scoprire il gruppo, osservandolo da un altro punto di vista. La sfida del campo scuola sta infatti nel creare dei momenti in cui tutte e tutti si riesca davvero a stare insieme, rinunciando almeno temporaneamente al viaggiare con la mente ognuno nel proprio altrove.
Ciò accade quando si vive insieme uno spiazzamento collettivo, facilitato dall’assenza di orologi e cellulari, che vengono limitati il più possibile per alimentare il desiderio di vivere pienamente il qui ed ora.

L’idea di partenza sta nell’affrontare insieme una questione, un tema e intorno al racconto o alla metafora che scegliamo e proponiamo, delineiamo una drammaturgia fluida.
I temi che ritornano, declinati in modi ogni volta diversi, possono essere i cambiamenti stagionali e le mille metamorfosi della natura evocati dal mito di Demetra e Persefone; la determinazione e il sogno del Barone rampante o di Icaro; lo sguardo che si nutre di diversi punti di vista narrato ne “La Storia di Mina” di Almond o ne “Il Bambino Oceano” di Mourlevat; l’immedesimazione con l’altro necessaria per scoprire altri aspetti di sé, guidati da “Il Minotauro” di Dürrenmatt.
Si può entrare dentro a una storia sperimentandola attraverso esperienze individuali, a coppie, a piccoli gruppi o collettive, che la rendono viva. Nel delineare la drammaturgia del campo scuola il tema-metafora è sempre presente, a volte in modo prepotente e visibile, altre in modo più discreto e quasi invisibile. È consuetudine, all’inizio di un campo, cantare dei canti provenienti da diverse parti del mondo, in genere in lingue sconosciute, perché il canto apre all’ascolto, crea comunità e fa bene. I canti diventano un richiamo per tutte e tutti e accompagnano chi partecipa nel corso di tutta l’esperienza. Poi ci si presenta, attraverso una piccola narrazione legata alla propria biografia: un albero al quale si è legati, il ricordo di una finestra o un animale che sentiamo affine. Le parole condivise in genere le restituiamo alla fine del campo con una sorta di poesia collettiva trascritta.

Esploriamo i boschi, i prati e il torrente spesso secco che circonda la casa-laboratorio con modalità diverse, legate alla metafora dentro alla quale ci stiamo muovendo. Costruiamo, dipingiamo, lavoriamo e giochiamo con il corpo, proponendo pratiche che ci sono arrivate dal teatro, dalle arti marziali o dalla danza. Raccontiamo di noi e narriamo miti o fiabe, restando il più possibile in ascolto di tutto ciò che ci circonda, della natura e degli altri. Ci poniamo domande da lasciare aperte.
C’è poi l’incontro con la notte, anticipato dalla raccolta della legna per la pira del fuoco notturno che ci aspetta. Dopo un invito a evitare il più possibile i rumori e ad aprirci all’ascolto della notte, procediamo in fila indiana per alcuni tratti attraversati durante il giorno, osservando e immergendoci nelle differenti oscurità che può dare la luce lunare, quando c’è. Ad esserci sempre, se non è nuvolo, sono invece le stelle, che affascinano per la loro moltitudine e diversità, e che piano piano impariamo a riconoscere. Arriviamo infine al grande fuoco, il nostro educatore in più.
Mentre ascoltiamo i suoni dell’accensione si crea il silenzio e arriva il momento del racconto serale, spesso legato al tema o alle costellazioni. Intorno al fuoco cantiamo ancora, prima di andare a dormire.

L’ultimo giorno del campo dedichiamo del tempo alla creazione di una piccola azione da parte di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, che chiamiamo restituzione, perché rappresenta il momento in cui le esperienze vissute vengono rielaborate, attraverso una rivisitazione in piccoli gruppi dei loro vissuti personali e dell’esperienza vissuta insieme. L’obiettivo principale di tutte queste azioni sta nel nutrire l’immaginario e dare forza a pratiche che hanno attraversato l’umanità sin dai primordi e che crediamo sia importante riscoprire perché possibile nutrimento per conoscersi, riconoscersi e costruire comunità

Questo articolo è incluso nella rivista Tuttoscuola ed è l’ultimo di quattro pubblicazioni settimanali che uscite su questo blog tra aprile e maggio 2025

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